Il testo riprodotto in questa pagina è un estratto dell'articolo pubblicato nel numero 117 della Rivista di Studi Tradizionali.
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Nella dottrina metafisica dell’esoterismo islamico, la no-zione di «Uomo Universale» (al-insân al-kâmil) occupa un posto della massima rilevanza. L’intera manifestazione, infatti, trova proprio nell’uomo così inteso il suo fine ultimo, nel senso che esso rappresenta al tempo stesso lo scopo e il compimento dell’auto-determinazione divina.
L’uomo è per così dire il punto di rifrazione ultimo del Principio divino, come afferma Muhyîddîn ibn ‘Arabî in apertura del primo capitolo dei suoi Fusûs al-Hikam, dedicato ad Adamo: «Quando il Vero (al-Haqq) – che sia glorificato! – riferendosi ai Suoi Nomi bellissimi, che un calcolo numerico non potrebbe esaurire, volle veder-ne le essenze – o, se preferisci, puoi anche dire “la Sua propria Essenza” – (lo fece) in un essere totalizzante che, qualificato dell’esistenza, abbracciasse l’intero ordine divino, in modo da manifestare così il Suo segreto (sirr) a Se stesso».
L’«essere totalizzante» (kawn jami‘) di cui si parla è appunto l’uomo, incarnato nella figura di Adamo, che rappresenta lo specchio polito nel quale il Principio divino può contemplarsi. Egli è così il vero Califfo (khalîfa), il Vicario della divinità, che Allâh ha reso compendio e ricapitolazione della Realtà universale. In questa sua funzione – osserva Ibn ‘Arabî poco oltre – l’uomo deve quindi racchiudere entro di Sé tutti gli aspetti, manifestati e non manifestati, dell’essere totale: in quanto manifestato, egli è forma del mondo; in quanto non manifestato, è forma del Vero, e questa duplicità è rappresentata dalle «due mani» protese da Allâh nella creazione dell’Uomo Universale. ...